“Mi chiamo Ljudmila, Luda per i miei, ho cinque anni, vengo dalla Bielorussia, dalla regione di Vitebsk, al confine con la Polonia” . È questo che la madre di Lidia le chiede ogni volta che passa a trovarla di nascosto tornando dai lavori forzati nel campo di sterminio di Birkenau portandole qualche cipolla rubata lungo il tragitto. Lidia non dimentica quello che le dirà la sua mamma, Lidia non dimentica i suoi 13 mesi di reclusione come cavia del dottor Mengele che, sui bimbi più piccoli, faceva esperimenti per ricreare in loro i tratti della razza ariana. Lidia sopravvive, ce la fa, alla fine di tutto viene adottata da una famiglia polacca e prova a dimenticare tutto l’orrore ma non la sua madre naturale che ritroverà dopo anni, quando ormai è una donna adulta. Questa è una testimonianza di una donna che non sa e non vuole odiare perché chi prova odio soffre di più di chi lo riceve anche se tatuato sul proprio braccio per tutta la vita. È stato proprio un bacio ricevuto dal Papa su quel tatuaggio a dare il via all’idea di questo libro e di una vicenda avvenuta nel più tragico e vergognoso capitolo della storia dell’umanità. Grazie a chi può ancora raccontarcelo perché non si dimentichi di cosa è capace l’uomo che odia.
LA BAMBINA CHE NON SAPEVA ODIARE La Mia testimonianza – Lidia Maksymowicz con Paolo Rodari ( Solferino – ottobre 2022)
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